Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/278

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voce del vento destava nel cuore di Anania impeti di terrore e di pietà, egli l’avrebbe accolta con tenerezza; ma la notte passò, e spuntò una giornata che il vento rendeva melanconica, ed egli trascorse ore che mise fra le più tristi e irrequiete della sua vita. Durante quelle ore egli girò per le viuzze, come spinto dal vento, andò in qualche casa, bevette molta acquavite, ritornò dalla vedova e sedette accanto al fuoco, assalito da brividi di febbre e da una acuta irritazione nervosa.

Anche zia Grathia non trovava pace; vagava su e giù per la casa, e un’ora prima che arrivasse la corriera s’avviò per andare incontro ad Olì. Prima di uscire pregò Anania di tenersi calmo.

— Bada che ella ha paura di te....

— Andate, santa donna! — egli disse con disprezzo. — Non la guarderò neppure: le dirò soltanto poche parole.

Passò più di un’ora. Anania ricordava con amarezza la dolce ora passata nell’attendere zia Tatàna: e mentre anelava l’arrivo di Olì, il triste arrivo che doveva una buona volta porre fine ai suoi tormenti, si sentiva divorato da un cupo desiderio: che ella non arrivasse, che fosse di nuovo fuggita, scomparsa per sempre!

— Ma è anche malata, — pensava con triste conforto, — morrà ben presto!

La vedova rientrò, sola, frettolosa.

— Zitto, non arrabbiarti! — disse a voce bassa rapidamente. — Viene! Viene! È qui: io