Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/277

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«La pregherai a nome mio che venga, poichè ho da comunicarle cose importantissime che la riguardano. Non le dirai che qui c’è Anania Atonzu; va, figlio, che Dio ti ricompensi perchè fai un’opera di carità».

— E lui? E lui?

— Lui ha promesso di condurla qui in vettura.

— Ella non verrà! Vedrete che non verrà, — disse Anania, inquieto. — Purchè non fugga ancora. Ho fatto male a non recarmi io stesso.... ma sono ancora a tempo....

E voleva partire subito: ma poi si lasciò facilmente convincere a rimanere, e attese.

Un’altra triste notte passò. Nonostante la stanchezza che gli fiaccava le membra, egli dormì pochissimo, — su quel duro giaciglio dove era tristamente nato e sul quale avrebbe voluto quella notte stessa morire.

Il vento urlava sul tetto, con boati da mare in tempesta, e la sua voce rombante ricordava ad Anania l’infanzia melanconica, i terrori lontani, le notti d’inverno, il contatto di sua madre che lo stringeva a sè più per paura che per amore. No, ella non lo aveva amato: perchè illudersi? ella non lo aveva amato; ma forse questa era stata la più orrenda sventura e la perdita inesorabile di Olì. Egli lo sentiva, lo sapeva; e provava una tristezza mortale, un’improvvisa pietà per lei che era vittima del destino e degli uomini.

S’ella fosse arrivata quella notte, mentre la