Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/276

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E gli sembrò che il vento gli portasse via il cuore, sbattendolo contro i colossi granitici del Gennargentu.

Al ritorno egli credeva di trovare sua madre presso la vedova, e ansiosamente, dopo aver lasciato il cavallo presso la guida, attraversò il paese deserto e si fermò davanti alla porticina nera di zia Grathia. La sera scendeva triste, un vento gagliardo soffiava per le straducole erte, rocciose: il cielo era pallido: pareva d’autunno. Anania, fermo davanti alla porticina, ascoltava. Silenzio. Attraverso le fessure scorgevasi il chiarore rosso del fuoco. Silenzio.

Anania entrò e vide soltanto la vecchia, che filava seduta sul solito sgabello, tranquilla come uno spettro. Sulle brage gorgogliava la caffettiera, e da un pezzo di carne di pecora, infilato in uno spiedo di legno, sgocciolava il grasso sulla cenere ardente.

E dunque?... Nonna, dunque?

— Pazienza, gioiello d’oro! Non ho trovato una persona fidata che potesse andare laggiù. Mio figlio non è in paese.

— Ma il carrozziere?

— Pazienza, ti ho detto, oh! — esclamò la vedova, alzandosi e deponendo il fuso sullo sgabello. — Ho pregato appunto il carrozziere di dirle che venga assolutamente, domani Gli dissi: