Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/275

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sfuggire alla furia del vento che lo assaltava d’ogni parte. Sotto il suo sguardo irrequieto stendevasi quasi tutta l’isola, con le sue montagne azzurre e il suo mare argenteo, rischiarata dal sole allo zenit: sopra il suo capo brillava il cielo turchino, vuoto e infinito come il pensiero umano. Il vento rombava furiosamente nel vuoto, e le sue raffiche investivano Anania con rabbia pazza: pareva l’ira violenta d’una belva formidabile che cercasse di scacciare ogni altro essere dall’antro aereo dove voleva dominare sola.

Anania resistè a lungo: la guida gli si trascinò accanto, gettandosi anch’essa carponi sulle lastre schistose, e cominciò a indicare le principali montagne ed i paesi ed i borghi dell’isola.

Il vento rapiva le parole e mozzava il respiro ai due uomini.

— Quella è Nuoro? — gridò Anania.

— Sì: la collina di Sant’Onofrio la divide in due.

— Sì, è vero. Si vede distintamente.

— Peccato che questo vento sia così rabbioso! Va al diavolo, vento maledetto! — urlò la guida.

— Altrimenti si poteva mandare un saluto a Nuoro, tanto oggi sembra vicina!

Anania ripensò alla promessa fatta a Margherita: «....Dalla più alta cima sarda ti manderò un saluto; griderò ai cieli il tuo nome ed il mio amore, come vorrei gridarlo dalla più eccelsa cima del mondo affinchè tutta la terra ne restasse attonita....».