Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/287

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poi partirò e vedrò.... Qui non mi resta altro da fare: è tutto fatto.... È tutto fatto! — ripetè fra sè con infinita tristezza. — Tutto è finito.

Gli venne in mente di sedersi accanto a sua madre, di chiederle come aveva vissuto, di rivolgerle una sola parola di dolcezza e di perdono: ma non poteva, non poteva: il solo guardarla lo disgustava; gli pareva che ella puzzasse (e in realtà ella emanava quello sgradevole odore tutto speciale dei mendicanti), e non vedeva l’ora di andarsene, di fuggire, di togliersi dagli occhi quella vista dolorosa. Eppure qualche cosa lo tratteneva; egli sentiva che la scena non poteva terminare così, dopo poche frasi; pensava che Olì forse, fra la sua paura e la sua vergogna, gioiva d’aver un figlio bello, forte, civile; e nel suo disgusto, nel suo dolore anch’egli provava un meschino conforto dicendo a sè stesso:

— Almeno non è sfrontata: forse si può redimere ancora. È incosciente, ma non sfrontata. Non si ribellerà.

Eppure ella si ribellò.

— Ecco, — egli ricominciò, dopo un lungo silenzio, — voi rimarrete qui finchè non avrò aggiustato i miei affari. Zia Grathia comprerà le vesti e le scarpe....

La voce rauca e dolente risuonò forte: — Io non voglio nulla. Io no....

— Come no? — egli chiese, fermandosi di botto davanti al focolare.