Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/292

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a conoscere che tu non mi rinneghi, ti rifiuterà. Ed ha ragione: perchè una rosa non può stare vicina ad una immondezza.... Fallo per lei; lasciami andare, ella crederà sempre che io non esista più. Ella è un’anima innocente; perchè dovrebbe soffrire? Io andrò lontano, cambierò nome, sparirò portata via dal vento. Basta il male che ti feci involontariamente.... sì... involontariamente; figlio mio, io non voglio farti più del male, no. Ah, come una madre può fare il male a suo figlio? Lasciami andare.

Egli ebbe desiderio di gridare: «Eppure voi non mi avete fatto altro che del male», ma si vinse. A che serviva gridare? Era inutile e indecoroso; no, egli non voleva più gridare: solo, col capo sempre stretto fra le mani, con voce nello stesso tempo lamentosa e rabbiosa, continuò a rispondere: — No, no, no.

In fondo sentiva che Olì aveva ragione, e capiva che ella veramente voleva andarsene per non renderlo infelice, ma appunto l’idea che in quel momento ella era più generosa e più cosciente di lui lo irritava e gliela rendeva odiosa. Ella si era trasformata: i suoi occhi illuminati lo guardavano supplichevoli e amorosi; quando ripeteva: «lasciami andare» la sua voce vibrava e tutto il suo volto esprimeva una tristezza senza nome.

Forse un sogno soave, che giammai prima d’allora aveva rischiarato l’orrore della sua esistenza, le sfiorava l’anima: restare, vivere per lui, trovar finalmente pace. Ma dal profondo