Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/293

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dell’anima primitiva un istinto di bene, — la scintilla che si cela anche nella selce, — la spingeva a non badare a quel sogno. Una sete di sacrifizio la divorava, ed Anania lo capiva, e sentiva finalmente che ella voleva a modo suo compiere il proprio dovere, come egli a modo suo voleva compiere il suo. Egli però era il più forte e voleva e doveva vincere con tutti i mezzi, anche con la violenza, anche con la necessaria crudeltà del medico che per guarire il malato gli apre la carne coi ferri.

Ad un tratto ella si gettò per terra, ricominciò a piangere, supplicò, gridò. Anania rispose sempre no.

— Che farò dunque io? — ella singhiozzò. — Nostra Signora mia, cosa farò io? Bisogna che ti abbandoni ancora con inganno, per farti il bene per forza? Sì, io ti lascerò, io me ne andrò. Tu non sei il mio padrone. Io non so chi tu sei.... Io sono libera.... e me ne andrò....

Egli sollevò il volto e la guardò.

Non era più irato; ma i suoi occhi freddi e il suo viso livido, improvvisamente invecchiato, incutevano spavento.

— Sentite, — disse con voce ferma, — finiamola. È deciso tutto, e non c’è da discutere oltre. Voi non moverete un passo senza che io lo sappia. E badate bene, e tenete a mente le mie parole come se fossero le parole di un morto: se finora ho sopportato il disonore della vostra vita vergognosa era perchè non potevo