Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/299

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Ma nello sfondo della sua immaginazione nereggiava sempre la cucina della vedova, col cappotto nero e vuoto come un simbolo, con la figura di Olì dai grandi occhi di gatto selvatico. Che dolore e che tristezza gli causavano ora quegli occhi!

Così rimase a lungo, senza poter dormire, ma con gli occhi ostinatamente chiusi, immerso in un cupo torpore. A un tratto pensò alla morte, meravigliandosi che questo pensiero non gli fosse ancora balenato in mente.

— Nessuna cosa è più certa della morte; eppure ci tormentiamo tanto per cose che passano inesorabilmente. Tutto passerà: tutti morremo: perchè soffrire così?... E se alle quattro mi suicidassi? Sì.

Per qualche momento l’impressione della fine lo gelò tutto. Passò, ma gli lasciò una oppressione così spaventosa che egli sentì il bisogno di scuotersi per liberarsene. Solo allora si accorse che, in fondo, mentre gli pareva d’esser in preda alla più cupa disperazione, egli sperava sempre.

— Margherita! Margherita! Parlerò con lei stanotte; ella mi dirà di tacere ogni cosa a suo padre, di aspettare, di fingere. No, non voglio essere vile. Voglio essere uomo. Alle quattro sarò dal signor Carboni.

Alle quattro, infatti, egli passò davanti alla porta di Margherita, ma non potè fermarsi, non potè suonare. E passò oltre avvilito, pensando di ritornare più tardi, ma convinto, in fondo,