Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/300

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che non sarebbe riuscito giammai ad aver il colloquio col padrino.

Due giorni e due notti trascorsero così in una vana battaglia di pensieri cangianti come onde agitate. Nulla pareva mutato nella sua vita e nelle sue abitudini; egli aveva ripreso a dar lezioni agli studentelli in vacanza, leggeva, mangiava, passava sotto le finestre di Margherita e vedendola la guardava ardentemente: ma durante la notte zia Tatàna lo udiva camminare per la camera, scendere nel cortile, uscire, rientrare, vagare: pareva un’anima in pena, e la buona vecchia lo credeva ammalato.

Che aspettava egli? Che sperava?

Il giorno dopo il suo ritorno, vedendo un uomo di Fonni attraversare la viuzza, impallidì mortalmente.

Sì, egli aspettava qualche cosa.... qualche cosa d’orribile: la notizia che ella fosse scomparsa nuovamente; e si accorgeva benissimo della sua viltà, ma nello stesso tempo era pronto ad eseguire la sua minaccia: «vi seguirò, vi ucciderò, mi ucciderò». In certi momenti gli pareva che niente fosse vero; nella casa della vedova c’era soltanto la vecchia, col suo cappotto e le sue leggende: niente altro.... niente altro....

La seconda notte dopo il suo ritorno udì zia Tatàna raccontare una fiaba ad un bimbo del vicinato: «....La donna fuggiva, fuggiva, gettando dei chiodi che si moltiplicavano, si moltiplicavano, coprivano tutta la pianura. Zio Orco