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Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/309

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tornata in te, e che ti penti d’avermi fatto soffrire.

«Domani notte, o meglio stanotte, perchè è già passata la una, ti aspetto; non mancare; vieni, adorato, vieni, diletto mio, mio amato sposo, vieni: io ti aspetterò come il fiore aspetta la rugiada dopo una giornata di sole ardente; vieni, fammi rivivere, fammi dimenticare; vieni, adorato, le mie labbra, ora bagnate d’amaro pianto, si poseranno sulla tua bocca amata come....»

— No! no! no! — disse convulso Anania, torcendo la lettera senza leggerne le ultime righe. — Non verrò! Sei vile, vile, vile! Morrò ma non mi vedrai mai più.

Coi fogli stretti nel pugno si gettò sul letto, e nascose il viso sul guanciale, mordendolo, comprimendo i singhiozzi che gli gonfiavano la gola.

Un fremito di passione lo percorreva tutto, dai piedi alla nuca; le invocazioni di Margherita gli davano un desiderio cupo dei baci di lei, e a lungo lottò acerbamente contro il folle bisogno di rileggere la lettera sino in fondo.

Ma a poco a poco riprese coscienza di sè e di ciò che provava. Gli parve di aver veduto Margherita nuda, e di sentire per lei un amore delirante e un disgusto così profondo che annientava lo stesso amore.

Come ella era vile! Vile fino alla spudoratezza. Vile e coscientemente vile. La Dea ammantata di maestà e di bontà aveva sciolto i suoi veli aurei ed appariva ignuda, impastata d’e-