Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/319

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lette; una lunga nuvola dello stesso colore oscurava l’orizzonte in alto: fra la nuvola e le montagne il cielo d’oro e un grande sole cremisi senza raggi. In quel momento, non seppe perchè, Anania si sentì buono: buono e triste. Arrivò a desiderare sinceramente la guarigione di sua madre: gli parve di provare una infinita pietà per lei, e il bel sogno infantile, d’una vita di sacrifizio dedicata interamente alla redenzione dell’infelice, gli brillò nell’anima, grande e melanconico come quel sole morente.

Ma ad un tratto s’accorse che egli faceva quel sogno esclusivamente per sè, — perchè ormai non gliene restava altro, — e paragonò la sua tardiva generosità ad un arcobaleno incurvato sopra una campagna devastata dall’uragano; splendore inutile.

— Che farò io? — ripetè disperandosi nuovamente. — Non amerò più, non crederò più.

Il romanzo della mia vita è finito. Finito a ventidue anni, quando per gli altri i romanzi cominciano.



Arrivò a Fonni ch’era già notte.

La luna nuova cadeva sul cielo lucido frastagliato dal profilo nero dei tetti di scheggia; l’aria era freschissima, profumata; s’udivano distintamente i tintinnii delle capre ritornanti dal