Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/320

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pascolo, il passo dei cavalli, i latrati dei cani; ed Anania pensò a Zuanne e ricordò l’infanzia lontana come non l’aveva ricordata durante la sua prima gita a Fonni.

Il suo arrivo davanti alla casa della vedova richiamò ai finestrini, alle porticine, ai poggiuoli di legno delle casette attigue, molte teste curiose. Dovevano aspettarlo: un bisbiglio misterioso sorse intorno, ed egli se ne sentì come avvolto, e gli parve che una rete pesante lo stringesse tutto e lo attirasse giù, in un abisso di tenebre.

— Deve esser morta — pensò, smontando dal vecchio cavallo che rimase immobile.

Zia Grathia apparve subito sulla porticina, con un lume in mano: era più cadaverica del solito, con gli occhietti rossi affondati in un gran cerchio livido.

Anania la guardò inquieto.

— Come sta? — chiese, sforzandosi a render la sua voce desolata.

— Ah, sta bene! Ha finito la sua penitenza terrestre! — rispose la vecchia con tragica solennità.

Anania capì che sua madre era morta; non se ne rattristò troppo, ma non ne provò neppure sollievo.

— Dio! Dio! Ma perchè non avvertirmi? A che ora è spirata? Posso almeno vederla? — chiese, con ansia in parte vera e in parte finta, entrando nella cucina illuminata da un gran fuoco. Seduto accanto al focolare vide un paesano che pareva un sacerdote egizio, pallido,