Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/73

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molino dava nell’orto; di notte, però, non c’erano stati mai, quindi spiarono a lungo prima d’azzardarsi. Cadeva una sera chiara e fredda; la luna piena sorgeva fra le roccie nere dell’Orthobene, illuminando l’orto con un chiarore d’oro. Giungeva ai due bimbi affacciati alla finestruola un disperato miagolio di gatto che pareva un lamento umano.

— Che cosa è? Pare il diavolo! — disse Anania. — Io non scendo, no, io ho paura.

— E rimani qui, allora! È un gatto, non senti? — rispose l’altro con disprezzo. — Scendo io; nascondo il denaro entro la quercia, dove zio Pera non guarda mai; poi torno. Tu resta qui a guardare; se c’è pericolo, fischia.

In che consistesse poi questo pericolo i due amici non sapevano; ma entrambi provavano un acuto piacere a render fantastica l’avventura, alla quale il chiarore della luna e quel lamento straziante di gatto davano un sapore ancor più piccante.

Bustianeddu saltò nell’orto, ed Anania rimase alla finestra, un po’ avvilito dalla paura che lo rendeva tremante, ma tutto occhi e tutto orecchi. Ed ecco, appena il compagno fu scomparso in direzione della quercia, due ombre passarono sotto la finestruola; Anania sussultò, emise un fischio sottile sottile, e si nascose sotto il davanzale. Che impeto di terrore e di piacere strano provò in quel momento! Come si sarebbe salvato Bustianeddu? Che avveniva laggiù? Ecco, i lamenti del gatto raddoppiarono, si fusero