Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/83

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L’inverno passò, ma anche in aprile il frantoio continuò a funzionare perchè l’abbondanza delle olive era quell’anno straordinaria. Qualche volta però, Anania il mugnaio chiudeva il frantoio, andava nei campi a zappare il frumento del padrone e conduceva con sè il piccolo Anania, del quale voleva fare un contadino; ed il bimbo lo seguiva tutto lieto di rendersi utile, recando con alterezza sulle spalle la zappa e la bisaccia delle provviste. In mezzo ai campi quell’anno coltivati dal mugnaio, sorgevano due pini alti, sonori come due torrenti. Era un paesaggio dolce e melanconico, qua e là sparso di vigne solitarie, senza alberi, nè macchie. La voce umana vi si perdeva senza eco, quasi attratta e ingoiata dall’unico mormorio dei pini, le cui immense chiome pareva sovrastassero le montagne grigie e paonazze dell’orizzonte.

Mentre il padre zappava, curvo sulla distesa verde-chiara del frumento tenero, Anania si perdeva attraverso i campi nudi e melanconici, cantando con gli uccelli, cercando funghi ed erbe. Qualche volta il padre, sollevandosi, lo vedeva in lontananza e provava una stretta al cuore, poiché il luogo, il lavoro, la figurina del bimbo, tutto gli ricordava Olì, i suoi fratellini, l’errore commesso, l’amore, le gioie godute.

Dov’era Olì? E chi lo sapeva? Ella s’era perduta, s’era smarrita come l’uccellino nei campi: ebbene, peggio di lei; Anania il mugnaio credeva di compiere abbastanza il proprio dovere allevando il figliuolo; se trovava il tesoro