Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/94

Da Wikisource.

— 88 —

perto di mosche. E sognava di trovarsi ancora lassù, nella casa della vedova, nella cucina vigilata dal gabbano nero che pareva un fantasma appiccato: ma sua madre non c’era più, era fuggita, lontano, in una terra ignota. Ed un frate veniva dal convento, ed insegnava a leggere e scrivere al piccolo abbandonato, che voleva studiare per mettersi in viaggio alla ricerca di sua madre. Il frate parlava, ma Anania non riusciva a sentirlo, perchè dal gabbano usciva un lamento acuto e straziante che assordava. Dio mio, che paura! Era la voce dello spirito del bandito morto. Ed oltre alla paura, Anania provava un gran fastidio al naso ed agli occhi. Erano le mosche.


V.


Finalmente il suo sogno s’avverò.

Una mattina di ottobre egli s’alzò più presto del solito, e zia Tatàna lo lavò, lo pettinò, gli fece indossare il vestitino nuovo, quello di fustagno duro come la pelle del diavolo.

Anania grande, che divorava già la sua colazione, — un arrosto di viscere di pecora, — quando vide il fanciullo pronto per recarsi alla scuola rise di gioia, e gli disse, minacciandolo con un dito: