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sentito tante volte la sua storia), e preferivano aggrupparsi intorno a Sidòre, un piccolo maestro di muri1 che era anche padrone di una fornace di calce e dava loro da trasportare la sua merce.

— Che cosa credi, Sabè, — diceva lo straniero, — che la mia famiglia sia una famiglia qualunque? È forse la prima del mio paese: va e domanda se non credi. Mio padre ha beni e denari, e se vuole può far a meno di salutare il vescovo, tanto egli è ricco e indipendente. E mia madre? È bianca, bella, non alza mai la voce, e tutte le donne ricorrono a lei per consigli. Ella sa anche scrivere, sebbene sia una donna all’antica. I miei fratelli han tutti sposato donne ricche: noi abbiamo un cortile grande come questa piazza, ricoperto tutto da un pergolato che sembra il cielo di maggio quando c’è qualche nuvola, tanto è bello e fresco. Non ti dico la roba che c’è dentro casa: a mio avviso è più la roba che dà mia madre ai poveri che quella che possiede il vostro sindaco....

Sabéra, nonostante tutta la sua ammirazione per il suo pigionale, tentava di difendere le ricchezze indiscusse del sindaco.

— Cosa dici, Cáralu? In verità mia, neanche nelle altre parti del mondo c’è gente così ricca da dar la roba di don Giame per elemosina!

  1. Muratore.