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136 padrona e servi


Incontrò infatti un paesano che se ne andava tranquillo, nero nell’alba, con la sua tasca e il suo bastone, e gli parve che si voltasse a guardarlo e sogghignasse.

La giornata veniva su triste e grigia; le nuvole correvano come enormi matasse nere arruffate, dai monti al mare, dal mare ai monti, attaccandosi alle roccie e agli scogli che le districavano un po’: i corvi passavano gracchiando sopra la brughiera contorta dal vento.

I sereni paesaggi del giorno prima erano lontani; adesso tutto aveva un aspetto torbido, demoniaco, ed Elia credeva di sentir voci lontane, urla di gente che lo inseguiva e lo sbeffeggiava.

Finì col rimettersi le sue scarpacce e abbandonò le altre sulla strada; ma neppure così trovò pace. Drammi fantastici si svolgevano nella sua immaginazione: uno dei due poveri viandanti coi quali aveva dormito seguiva la stessa strada e si prendeva le scarpe; inseguito, scoperto, passava lui per colpevole e chissà a quanti guai si esponeva.... Oppure quelli da cui gli sembrava di essere sempre inseguito, trovavano la refurtiva e continuavano a perseguitarlo sino a fargli scontare vergognosamente la sua colpa. Che direbbe sua moglie? Nella sua mente infantile, eccitata dalla stanchezza, dal freddo e dalla fame, la cosa s’ingrandiva e s’arruffava come le nuvole su quell’agitato cielo invernale. Si pentiva di essersi messo in viaggio, di aver abbandonato la sua calma abituale per correre dietro a