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190 lasciare o prendere?


zoppe e a brontolare ch’era stata vergogna tenersi in casa un galeotto, un grassatore, egli trasse la tabacchiera di corno chiusa da un tappo di sughero, vi battè contro le nocche delle dita e reclinò un po’ la testa sull’omero.

— E tu, l’uomo moderno, il socialista, parli così! Non dicevi che siamo tutti compagni? Il vecchio era già malato quando arrivò: adesso sta un po’ peggio. Ebbene, sei sempre a tempo. Caccialo via tu, su, coraggio, che ti costa?

E Giuseppe dovette rassegnarsi. Don Giame applicò le ventose al fianco livido del malato, poi sedette accanto al lettuccio e prese fra le sue la piccola mano che annaspava le lenzuola.

— Prendili i denari, Giame, prendili! — ripeteva il moribondo, e pareva parlasse sul serio.

— Ma di che si tratta, padre?

— Del suo tesoro, perdinci! Magari lo dicesse davvero! Delira....

— E voi scherzate, padre!

Giuseppe se ne andò in giro. Tutti gli domandavano sorridendo dell’eredità di zio Pera, ed egli sollevava il bastoncino preso da una smania di tristezza e d’ira come quando i suoi scolari cantavano l’inno. Ma i suoi compaesani scherzavano volentieri.

— Ebbè, don Giusè, se non li vuol lei, i marenghi di zio Pera, veniamo a prenderli noi, tanto siamo parenti.

Infatti, saputo che don Giuseppe era arri —