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272 | libeccio |
tormentato dal tempo. Ecco perchè ella tardava.
Ma l’uomo non era impaziente per questo. Tardasse o no, ella doveva arrivare; ed egli pensava all’altra, a quella che egli non aspettava e che non sarebbe mai arrivata, sebbene fosse lì, a due passi, più vicina dell’amante.
Si volse bocconi col viso fra le braccia e masticò la sabbia salata. E di nuovo mentre il rombo del mare e l’ansito del suo cuore si fondevano in una vibrazione sola, in un rumore che pareva sotterraneo, il gemito, come condotto appunto dalla terra, giunse fino a lui.
Egli balzò ascoltando: ma nell’aria solo il mare e il vento urlavano fra loro.
La luna scendeva lenta, fra la cenere delle nuvole, a momenti rossa come una ferita, a momenti azzurra come un occhio di bambino: spariva, si riaccendeva, pareva avesse paura a toccare l’abisso agitato, ma le onde si slanciavano verso di lei con ira, con desiderio, e poi le si spianavano sotto tremule di sangue e di lagrime.
L’uomo si buttò ancora giù e sentì di nuovo il gemito: allora si alzò e andò a guardare. Una donna stava seduta sulla sabbia, con le braccia intorno alle ginocchia, la testa avvolta in un drappo sbattuto dal vento, e guardava il mare. Egli la riconobbe e sentì subito che quella notte doveva sciogliersi il nodo del suo destino.