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A poca distanza del villaggio a metà distrutto di Galte, si osservano le rovine di un paesetto di cui qualche anno fa esisteva ancora l’ultima abitatrice, una vecchia centenaria che teneva molto ad esser l’unica padrona del luogo. Un tempo era stata ricca: aveva posseduto case, terre, greggie: conservava ancora un terreno verso il fiume, coltivato a mezzadria da un uomo di Galte, e viveva di questa rendita, da oltre mezzo secolo sola in una delle due casupole rimaste su ma già curve come a contemplare le rovine intorno e desiderose di precipitare anch’esse. Di tanto in tanto una pietra cadeva, rotolava un po’, si metteva a dormire fra le sue antiche compagne, sulla china del poggio ancora nero dell’incendio che aveva finito di distruggere il paesetto.

Le due catapecchie di pietra e di antichi embrici coperti di musco secco, ancora circondate di siepi, sorgevano alle due estremità del poggio; una guardava a ponente verso le montagne calcaree di Dorgali, l’altra a oriente sopra la pianura melanconica attra-