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il cinghialetto 51


e con un occhio solo guarda le case, la gente, le strade, i monelli che lo seguono fino alla palazzina del giudice e uno dei quali, arrivati laggiù, s’incarica di picchiare alla porta e di gridare alla bella serva apparsa sul limitare:

— Pascaleddu piange perchè non vuol darvi il suo cinghialetto: se non fate presto a prenderglielo scappa e non ve lo dà più!...

— Non è vero, non piango; andate tutti al diavolo! — gridò Pascaleddu cercando di deporre il cinghialetto tra le braccia della serva: ella però lo fece entrare, mentre giusto in quel momento il giudice, con un plico di carte sotto il braccio, usciva per andare in Tribunale. Era un uomo piccolo e grasso, pallido, con due grandi baffi neri e gli occhi melanconici.

— Che c’è? — domandò, mentre la serva gli toglieva un filo bianco dalla manica della giacca.

— C’è questo bambino che porta il suo cinghialetto a signoriccu: è il figlio di quel disgraziato Franziscu Cambedda che è in carcere: son tanto poveri.... muoiono di fame.... la madre ha l’asma....

Il giudice scosse la mano come per significare «ce n’è abbastanza» e disse, guardando Pascaleddu:

— Dagli qualche cosa.

La serva condusse il bimbo nella camera bianca e luminosa ove signoriccu, seduto sul lettuccio e avvolto in uno scialle, guar-