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la porta aperta 63


era il caso di ritentare ancora una volta l’impresa, ma in senso inverso, cioè dall’orticello della chiesa al cortile dello zio. Una volta là dentro gli era facile penetrare nell’interno della fortezza, cioè della casa dello zio. Nessuno meglio di lui ne conosceva i buchi, i corridoi, i labirinti: chiudendo gli occhi rivedeva la sporgenza della parete del pianerottolo ove prete Barca prima di uscir di casa metteva la grossa chiave della sua camera; riaprendoli ricordava non senza commozione questa camera vasta e un po’ misteriosa, illuminata da una lampadina, piena di immagini sacre e di libri rilegati, e dove più di una volta egli, fanciullo, aveva sorpreso suo zio, in camicia e in papalina, a contar monete d’oro come un mago, od a traforare abilmente biglietti di banca segnandovi il suo nome con la punta di una spilla. Un giorno, camminando carponi sul pavimento e raschiandovi su per imitar meglio il cinghiale, Simone aveva smosso un mattone, e sotto il mattone aveva trovato una scatola piena di monete. Adesso egli ricordava quei tempi come il prigioniero rammenta i giorni di libertà....

Egli rimase tre giorni quasi sempre alla finestra, muovendosi solo per mangiare un po’ di pane d’orzo e di formaggio di capra. Sì, mentre suo zio seminava i suoi denari sotto i mattoni, egli viveva come un miserabile pastore; la sua casa era vuota, desolata, senza mobili (egli li aveva venduti), persino senza usci (venduti anche questi) e i ragni tes-