Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/213

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sto, dietro la chiesa, che io amo tanto, sa, all’angolo dell’abside: vada là verso il tramonto, vedrà l’altipiano tingersi di rosso, poi di violetto, e le parrà di essere ai piedi d’un castello barbarico. Tutto il paesaggio ricorda l’epoca dei feudatari, col paesetto aggruppato e recinto di roccie, coi sentieri che sembrano fatti apposta per gli agguati, con le figure solitarie incappucciate e armate che attraversano a cavallo, guardinghe, le chine solcate da muriccie a secco. Tutto ha un senso di poesia antica e selvaggia.

— Sì, è vero! Anche dalla casa dove sto io si godono i meravigliosi panorami, ed io corro da una finestra all’altra ricordando i versi del poeta:

               Il re veniva alle finestra a mare,
               Il re veniva alle finestre a monte....
               Avessi l’ale, potessi volare!

— Le piace Pascoli?

— Lo so quasi tutto a memoria.

— E D’Annunzio?

Allora fu uno sgranare di versi, un lieve discutere, un ripetere, «oh, anche a me piace!"», «no, era migliore prima», «oh, è sempre giovane» «io dimentico i titoli», «oh, ricorda quei versi»....

Mariana intanto s’era voltata verso il tavolino e toccava gli oggetti, dapprima timidamente, poi con curiosità, infine con prepotenza, accomodando i volumi gualciti che non volevano star chiusi, allontanando dalla penna la forchetta zoppa: mandando giù per terra un pezzetto di biscotto che attirava tutte le primaticce mosche della stamberga.

Jorgj lasciava fare e non sentiva più umiliazione della sua povertà. Fra lui e la sua amica s’era squarciato il velo dell’ignoto: Mariana era penetrata nel mondo di lui e poteva oramai muo-