Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/251

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cordo la sala del Paradiso, dalle cui vetrate si vede il lago melanconico come uno stagno. Mi ricordo: era d’autunno; attraverso i canneti gialli salivano piccole nubi rosse che mi sembravano fenicotteri, i bei fenicotteri vermigli consacrati al sole.... Poi ricordo la sala da pranzo coi grandi fiumi rappresentati da vecchioni incoronati di giunchi.... e la galleria degli specchi, e il letto di Napoleone, simile al letto di tanti altri piccoli uomini sconosciuti; e la camera dell’Imperatrice con le pareti coperte da un velo finto; e le salette di Isabella col ritratto di lei sullo stipite dell’uscio.... Ma il palazzo del T m’ha fatto più impressione del palazzo ducale: è ancora più abbandonato, più triste, ma d’una tristezza solenne. Guarda su una peschiera vuota, su un giardino desolato, pieno di qualcosa di tetro, di più tetro dell’acqua morta di certi stagni; pieno di ricordi! In fondo c’è una grotta con stalattiti che non splendono più, con una fontana che non dà più acqua; e sulle pareti delle sale, nel palazzo, cavalli enormi e giganti che hanno la fisonomia bonaria dei mantovani moderni, viso rosso, occhi chiari, capelli e baffi rossicci, labbra grosse e fossetta sul mento, s’agitano in una lotta che dura da secoli ed è sempre tanto grandiosa quanto vana....

I due uomini ascoltavano, e sebbene ancora accigliato il prete finì col domandare:

— Signorina, perchè non scrive?

— Sì! Ho scritto una novellina, una volta, e me l’hanno subito pubblicata e subito criticata: sì, ho avuto questo successo; mi dissero subito che la mia novella era «deprimente», vale a dire peggio che immorale. Come era? Chi lo ricorda più?

— Perchè non continua a scrivere?

— La signorina è una brava pittrice, anche,

Deledda, Colombi e sparvieri. 16