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gherita, tragica e nervosa quella di zia Martina le cui sopracciglia si movevano di continuo e le cui dita adunche correvan sulle carte come zampe di aquila, davano alla, scena alcunchè di satanico. Pretu provò un senso di paura e di piacere.

— Il gioco è buono, — diceva zia Martina.

— Non aver timore, tortorella! Egli ti sposerà!

In quel momento s’udì la voce di Simona: zia Martina corse alla porta e vide Pretu sul ballatoio.

— E chi ti ha permesso di venir su? Ah, Simonè, perchè l’hai lasciato salire?

— M’è scappato, «mama»!

— Ebbene, tanto lo sapevo chi c’era! — disse Pretu con coraggio. — Non è vero, zia Simona, che lo sapevo già? Datemi quella cosa, zia Martina, poi me ne andrò: vi giuro sulla mia coscienza che non dirò nulla a nessuno.

Per levarselo di tra i piedi la donna prese col dito da un vaso rosso un po’ di manteca e l’avvolse in un pezzo di carta.

— Va, ecco; e se tu dici di aver veduto qui Margherita guai a te. Mi capisci?

— Zia Martina, mi possiate veder cieco se io aprirò bocca. Addio.

D’un balzo fu nel viottolo e di lì in piazza, col prezioso involtino in seno. Zia Giuseppa Fiore lo aspettava; voleva consegnargli per Jorgj un vaso di sughero colmo di latte cagliato, ma egli si rifiutò di prenderlo.

— Domani, domani, adesso ho fretta.

— Martina ti ha dato il farmaco? — domandò Lia rincorrendolo fino alla scalinata. — E Margherita?

— Era là, — egli disse impavido. — Sì, il farmaco l’ho qui: adesso Jorgeddu il mio padrone dormirà, perchè di solito egli sonnecchia, appe-