Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/143

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potevano, senza disturbo, far visita, e arrivavano puntuali, coi vestiti nuovi, i cappellini che sembravano spoglie di pappagalli; e trovavano sempre il modo di parlare di Fortunio: sì, anche Fortunio aveva pubblicato un volumetto di versi; anche Fortunio scriveva un romanzo; anche Fortunio riceveva e spediva tante lettere. Ne mandò una anche a lei, con la serva, e istintivamente Cosima la nascose: ma quando l’aprì rise, un po’ delusa, poiché il collega la pregava di tradurgli in italiano una parola dialettale molto usata nella città, ma della quale egli non sapeva con precisione il significato. Ella rispose: egli scrisse ancora, ringraziando. Le loro lettere avevano le impronte oleose delle dita della serva.

Poi l’amicizia si strinse: Cosima andò con le sorelle a visitare le nuove amiche e osservò che la loro casa era povera, disordinata, quasi sudicia: e quei riccioli neri unti, quella frangia di stoppia che ricadeva fin sugli occhi bianchi della più vecchia delle zitelle, le destarono un senso di diffidenza, quasi di ripugnanza. Che si ingrandì, questo senso, quando, non seppe come, le due streghe trovarono il modo di condurre le ragazze più piccole a vedere un vaso di gerani nella loggetta della casa, e nella stanzetta che serviva da pranzo e da ricevere entrò come per caso lo zoppo. Ella che s’era piegata a guardare sul tavolo coperto da un tappeto fatto con orribili ritagli di scatole di fiammiferi, alcune di