Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/185

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cosima 143


Andrea. Tante volte penso di dividere il patrimonio: a ciascun figlio il suo; ma sarebbe peggio, poiché il disgraziato Santus in pochi mesi cadrebbe nella miseria, e anche il tuo signorino Andrea si giocherebbe la sua parte. Non c’è via di uscita: bisogna soffrire. E poi io voglio bene ai miei figli: troppo bene gli voglio; più sono disgraziati più li amo e li compatisco. Ma quella Cosima! È quella che più mi dà pensiero.

— E invece sarà quella che più le darà consolazioni: vedrà.

Ma la madre, mentre rimuginava nella padella le patate che lentamente si arrossavano e spandevano un buon odore, continuava a sospirare.

— Non è questo, Elia, io non ho bisogno di consolazione: la mia strada è finita, e nulla esiste più per me tranne il bene dei miei figli. Ma essi non seguono la via giusta, quella che abbiamo percorsa io e il padre loro, benedetto sia. Sarà mia la colpa: sono una donna senza forza e senza volontà; ma loro dovrebbero capirlo. E se parlo così con te, questa sera, Elia, è perché so che tu solo puoi compatirmi.

— Oh, padrona! — egli esclamò: e una commozione sincera, piena di sorpresa e di gratitudine, gli vibrava nella voce: probabilmente nessuno, da molto tempo, gli aveva parlato così. E intese forse quello che la padrona voleva dirgli, che anche lui aveva peccato e sofferto, ma era rientrato nella giusta