Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/217

Da Wikisource.

cosima 167


miratrice, dirigeva una rivistina letteraria nella città di ***, sul mare, la invitò ad andare ospite in casa sua: ed ella vi andò, nonostante i terrori della madre ed i brontolii di Andrea, che volle almeno accompagnarla per un tratto del viaggio, in ferrovia, e quando la lasciò gli parve di averla imbarcata sull’Atlantico. In fondo anche lei si sentiva smarrita. Dove andava? Che voleva? Come Cappuccetto Rosso in mezzo al bosco aveva l’impressione d’incontrare il lupo; ma in fondo sperava di cavarsela bene, poiché aveva la coscienza tranquilla, e l’ombra del male era simile a quelle grandi ombre di nuvole già invernali che salivano dai monti scuri e lambivano le valli solitarie lungo le cui coste correva il trenino che sembrava un giocattolo. Il cielo era grande, di un azzurro carico, e le nuvole correnti, spinte da un caldo vento di scirocco, lo facevano apparire più alto, più turchino. A Cosima, affacciata al famigliare ballatoio del treno, sembrava un cielo straniero, inospitale, mentre la terra, sotto di lei, aveva ancora l’aspetto materno, ch’ella ben conosceva: le stesse chine coperte di erba tremula, le macchie, le pietre, le quercie indurite dal dolore dei secoli e dalla loro resistenza al tempo e agli elementi. I piccoli villaggi neri, accovacciati come cornacchie sui loro nidi di roccie, apparivano e sparivano nella luce cangiante della lontananza: qualche pastore con la sua greggia si profilava sull’orlo verde di un ciglione, e le pecore