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nella casa di Cosima, rigide e composte, dure come due mummie; non parlavano molto, ma ogni loro parola era una frecciata: e di tutto, anche quando le cose andavano egregiamente, trovavano da ridire, persino se le ragazze avevano un abituccio nuovo, o si ornavano di un nastro economico ritagliato magari da un fazzoletto di seta logoro. Piombarono in casa il giorno dopo del ritorno di Santus, e fecero piangere la signora Francesca, addossandole tutta la colpa del disordine famigliare. Tutto, intorno, per loro, era una tragedia; e lo era, sì, ma forse, almeno per le ragazze, non irreparabile. Irreparabile lo era per le due vecchie zitelle, che, istintivamente, senza precisa cattiveria, riversavano sul destino degli altri il proprio squilibrio. Una carica particolare, quasi non bastasse la prima, fu fatta contro Enza, della quale si conoscevano gli amori segreti e palesi con Gioanmario: per le due acri e sterili zie, che mai avevano conosciuto l’amore, il romanzo innocente e in fondo melanconico dei due giovani innamorati era tragico e terribile quasi come quello di Isotta la bionda e Tristano, o di Paolo e Francesca.

Predissero le cose più sinistre per l’immorale e sfrontata ragazza, mormorarono che per causa di lei la famiglia e l’intero parentado erano scherniti e disprezzati da tutta la gente benpensante, e che il disonore ricadeva anche sulle sorelle che mai avrebbero trovato marito.