Pagina:Deledda - Cosima, Milano, Treves, 1937.djvu/98

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68 grazia deledda


La madre piangeva: che altro poteva fare? E, certo, neppure lei era contenta per la storia di Enza, sebbene, dopo le ultime disgrazie famigliari, la sua ostilità verso Gioanmario fosse diminuita, e pensasse che un uomo ordinato ed energico, in casa, sarebbe stato di grande aiuto: ma non rispondeva alle insinuazioni vituperose delle cugine, e tale sua quasi accondiscendenza fu quella che più esasperò Enza, la quale naturalmente origliava all’uscio. D’un tratto si sentirono alte grida ululanti, e il tonfo d’un corpo che cade. Era lei, l’infelice ragazza, presa da un attacco isterico, quasi epilettico. Allora la madre si sollevò, come la cerbiatta alla quale vien ferito il figlio, e trovò l’energia di cacciar via le donne e di sollevare e confortare la sua bambina.

Poiché tutti i figli, per lei, compreso il più traviato, anzi lui forse più degli altri, erano ancora deboli creature che il Signore avrebbe fatto crescere e rinsavire.

Il risultato fu che Gioanmario fu riconosciuto come fidanzato di Enza, e si fissarono le nozze per l’estate seguente, appena egli si fosse laureato. Nozze umili e quasi tristi; non quali il padre aveva sognate e preparate per le sue figliuole.

Ai due giovani sposi fu assegnata una modesta rendita, e concessa per abitazione una vecchia casa che la famiglia possedeva in un quartiere eccentrico della cittadina. Ma era una casa troppo grande,