Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/164

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peggiori istinti. Sentiva il volto ardergli sotto al maschera, e il costume stretto e fastidioso gli dava calore a tutte le membra. Inoltre la giornata era tiepida, velata, e nella soavità dell’aria si sentiva già la promessa della primavera.

Le vie erano affollate; mascherate barocche e triviali andavano su e giù, tra un nugolo rumoroso di monelli sporchi che urlavano improperi e parole indecenti. Maschere sole, vestite a vivi colori, passavano, seguite dallo sguardo indagatore e beffardo degli operai e dei borghesi: passavano signore, bimbe, serve dai corsetti sanguinanti: gruppi di paesani ubriachi si pigiavano in certi tratti del Corso; e musiche melanconiche di chitarra e fisarmonica salivano e vibravano in quell’aria tiepida e velata che rendeva i suoni più distinti come in un crepuscolo d’autunno.

Tanto bastava per stordire l’anima di Elias, avvezzo alle grandi solitudini della tanca. Invano egli credeva di aver conosciuto il mondo e di esser pronto ad ogni cosa perchè aveva varcato il mare e visto la triste moltitudine di quel luogo: ah, adesso bastava quel piccolo carnevale nuorese, quella folla variopinta, quella melanconica quadriglia pianta da una