Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/170

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non ebbe più che un solo pensiero fisso, divorante.

Il ballo cessò; il circolo del curiosi si disfece, e le nostre maschere ripresero ad errare per le vie, tra la folla. Poi la sera calò, pallida e velata: e seguendo come in un sogno i compagni, Elias si trovò nel viottolo, davanti alla casetta silenziosa, in faccia alla siepe immobile nel crepuscolo. Il gatto fermo sulla finestruola, con gli occhi fissi lontano pareva immerso nella contemplazione delle montagne grigie e violacee che chiudevano l’orizzonte. Si vedeva il fuoco ardere nel focolare.

Zia Annedda aspettava seduta nel cortiletto, con le mani intrecciate sotto il grembiule; pregava scongiurando la tentazione che poteva travolgere i suoi figliuoli mascherati (per lei la maschera era un simbolo del demonio); e all’irrompere della compagnia trasalì lievemente. Forse un maligno spirito interno le susurrava che la sua preghiera era vana; che il demonio vinceva, che col rientrare dei suoi figliuoli mascherati, il peccato mortale entrava nella casetta sin allora pura.

— Vi siete divertiti? Era tempo di tornare! — disse tutta lamentosa.

— Abbiamo tardato, — confermò Maddalena,