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ma senza rimpianto. — Venite, venite, io muoio dal caldo.
E precedè le compagne su per la scaletta esterna: intanto Elias si toglieva la maschera, e Pietro, che se l’era già tolta sin dal primo entrare, correva alla brocca dell’acqua e sollevandola beveva avidamente.
— Che sete hai! — disse zia Annedda.
— Sete e fame, mamma mia; datemi da mangiare, che poi me ne vado al seranu.1
E andò verso la tavola fissata al muro, su cui stava il canestro col pane e con gli avanzi delle vivande. (Quel giorno i Portolu avevano avuto un lauto desinare; fave bollite col lardo, e cattas, specie di frittelle di passa lievitata, con uova, latte e acquavite.)
— Tu sei matto, — disse zia Annedda. — San Francesco ti consoli, cosa pensi di fare? Tu cenerai con noi, poi andrai a dormire: non son notti da uscire, queste. Va e spogliati.
— Macchè, macchè, mamma mia! Il carnevale viene una sola volta all’anno! Io andrò al ballo, e ci verrà anche il mio fratello Elias. Eh, non è già l’anno scorso che eravamo assieme!
Elias, tutto roseo e bello nel suo travesti-
- ↑ Veglione popolare.