Pagina:Deledda - Elias Portolu, Milano, 1920.djvu/207

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— Bene, va. Ti prometto che fra otto giorni tutto sarà concluso; intanto ti consiglio di frequentare assai la chiesa. Va, figliuolo mio, e sta allegro. Vedrai che ti parrà di rinascere ad un’altra vita.

Elias se ne andò, ma non potè stare allegro: ah, no, gli pareva di sognare, non sentiva più la gioia infantile, senza causa, che aveva provato l’anno avanti, dopo la confessione; anzi ora si rattristava e lagrime amare gli offuscavano gli occhi. Eppure era fermamente deciso; ma la sua tristezza veniva appunto dalla sua ferma decisione. Non era più il sogno, adesso, era la realtà; ed egli, nel primo momento della sua risoluzione, non poteva staccarsi dal passato senza sentir sanguinare il cuore. Era l’addio a tutte le cose che formavano la sua vita; era quindi la sua vita stessa che se ne andava, con le sue abitudini, le gioie, i dolori, le passioni, gli errori, i piaceri.

Per parecchi giorni visse nell’amaritudine di questo addio; specialmente nella tanca, la tristezza lo stringeva fino a renderlo freddo, insensibile ad ogni altra cosa, che non fosse il suo addio ai luoghi ed alle cose tra cui aveva tanto amato e sofferto.

“Io non vedrò più questo, io non farò più