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tere di mangiare nidi di rondine, carne di cane, come là si usa: e si poteva anche permettere di passare qualche ora del suo tempo in quel difficile gioco arrivato dalla Persia e che si chiamava il gioco degli scacchi.

Quando vide Giaffà si alzò, lo abbracciò, e comprendendo dai suoi occhi un po’ stralunati che aveva fame, gli diede un costato di carne di cane che Giaffà divorò sputando gli ossi a destra e a sinistra con grande maleducazione. L’amico glielo fece osservare con dolcezza e per dargli una lezione raccolse uno per uno gli ossi sulle stuoie della sontuosa casa di legno, senza dire parola. Allora Giaffà riprese gli ossi, li ripose nei diversi luoghi donde erano stati raccolti da Li-foi e con molta umiltà li raccattò da sé. Li-foi lo abbracciò di nuovo.

Alla spiegazione del nuovo e famoso gioco Giaffà ci capì poco o nulla: certo quei cavallucci, quei re, quelle regine lo divertivano. Ma il resto diventava piú mistero quanto piú Li-foi si affannava con affetto a insegnare. Ad un tratto, Li-foi domandò:

— Giaffà: vedi? questi sono sessantaquattro quadrati fra bianchi e neri — e indicò la scac-