Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/15

Da Wikisource.

il sontuoso e danzante gioco degli ambasciatori, con relative nozze e regali di gioielli e vestiti mai veduti, ritornavano stanche, curve, affamate, — affamate davvero, questa volta, — al loro triste e mirabile rifugio.

La più vecchia sedeva sullo scalino della porta, col bastone al quale pareva avessero rotta la testa, abbandonato al suo fianco: era tragica, in apparenza, o, più che tragica, arcigna e preoccupata per le ingiustizie sociali, — chi troppo ricco, come don Francesco Antonio Maria Valadier Castillo che s’era fatto costruire un inutilissimo palazzo nelle sue tancas solitarie, con fontane segrete; chi povero come le mendicanti scalze (questo perchè lo volevano loro, di nascosto della madre, e soprattutto della serva) assetate e con lo stomaco più vuoto della loro stamberga — . Sì, arcigna e desolata, nel viso corrucciatissimo, ma in fondo beata come un cherubino, appunto per la visione del palazzo e delle misteriose fontane di don Francesco Maria Castillo, laggiù, nelle tancas solitarie, azzurre alla luna, con le perle delle lucciole sul velluto verdone del musco.

Le altre mendicanti sedevano sui tronchi degli alberi, sospiravano, si pizzicavano, sbadigliavano. Una si era buttata sul giaciglio della vecchia e brontolava il rosario: ma d’un tratto si alzò urlando e corse fuori. E fuori anche le altre, atterrite.

— Che hai veduto? Che hai veduto? Lo spirito della vecchia?

— Accidenti a lei: nel saccone ci sono ancora le pulci.


— 5