Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/16

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Poi, qualcuna pensò bene di cambiar metodo. Ed ecco che, all’ora del convegno, arrivava, imitando a perfezione la vecchia gobbina, appoggiandosi a un pezzo di canna, con un fazzolettino pieno di roba. Balbettava:

— È tutto quello che ho potuto avere: oggi c’è stato un matrimonio; oggi c’è stata la consacrazione di un prete.

E dal fazzolettino venivano fuori, se non abbondanti, squisite offerte: frittelle con lo zucchero, fettine di salame, frutta primaticce.

L’assistenza era ancora scarsa: ma ci pensò bene l’amica Francesca a renderla più proficua; anche perchè era di natura generosa, lei, generosa e vanitosa: non invano s’inorgogliva di una lontana parentela spagnolesca con don Francesco Antonio Maria Castillo.

Ed ecco inventò le feste campestri, i battesimi di lusso, persino i funerali dei ricchi, quando ai mendicanti vengono distribuite copiose elemosine. E portò non fazzolettini ma fazzolettoni di roba: e una sera, caldissima, persino le granite di limone, che si scioglievano entro una tazza di cristallo.

A questo punto della storia apparve un personaggio importante. Era un professore, di liceo: abitava in una casa il cui orto confinava col nostro: ritornava per le vacanze. Lo si conosceva di vista, ma era come se per noi non esistesse. D’un tratto, però, la sua figura cascante, già grigia e disfatta, apparve in maniche di camicia e in pantofole, sul muricciuolo di divisione e dominò il nostro orizzonte. Con la mano scarna e tremula come quella di un

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