Vai al contenuto

Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/163

Da Wikisource.

d’oro. Passò un barcone carico di pomi che spandevano il loro profumo nell’aria ventilata: del resto tutto il paesaggio odorava di frutteto e di orto innaffiato.

Or eccoci al mulino che ha l’aspetto romantico di una palafitta: le ruote che però sembrano d’acciaio accolgono la corrente con tale forza da parer che giochino; ma l’acqua è seria, ha altro da fare, e s’impenna con dispetto, sfuggendo quasi rabbiosa. Il rumore monotono echeggia nel bosco della riva e ritorna come quello di una segheria fiabesca. D’altronde ogni cosa prende a poco a poco il disegno e le tinte esagerate di una illustrazione per libro di strenne all’antica. Si sale la scaletta scricchiolante e ci si ritrova in una specie di piattaforma di assi, davanti a un casottino di legno dentro il quale, in un pulviscolo argenteo, si muovono le figure bianche e nere dei mugnai. Tutto si muove e respira: il moggio che pare giri da sè, felice della sua attività incessante; la farina che vien giù come da una piccola sorgente naturale, i sacchi che si riempiono dondolandosi: e il rumore e l’ansito dell’acqua, addentata dalla ruota, nella gabbia dei pali, danno l’idea di un pachiderma irretito, che si dibatta e provochi con la sua forza selvaggia il semplice ingranaggio del mulino.

Il sole è già basso e nudo di raggi, sul cielo rosa, sopra i languidi salici della riva; ma l’acqua ha raccolto tutto il suo splendore che pare non debba mai venir meno: e le isolette di sabbia, coperte di cespugli e di fiori gialli, danno al paesaggio fluviale un’illusione di vastità marina. Si avrebbe voglia di approdare nella più


— 153