Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/189

Da Wikisource.


Come una spina di pesce, dritta fra la coda e la cima di Montepetri, sale il corso Vittorio Emanuele, con le vie adiacenti intitolate ai gloriosi nomi del nostro Risorgimento: più che strada può dirsi una scalea, a larghi gradini lastricati di ciottoli; in alto, piazza Garibaldi appare sospesa sul cielo cilestrino, con una corona di alberelli sfrondati in ogni stagione dell’anno, per opera dei monelli che vi stazionano in permanenza. In ogni sfondo di vicolo sorride lo stesso cielo un po’ pallido, ma dolce e tenero: le case hanno quasi tutte portoni medievali, con chiodi e stemmi e rimasugli di architravi austere: e quasi davanti a ciascuna di queste nobili abitazioni sta legato un ciuco, o una mula che sembra quella della fuga in Egitto; e anche un cavallo. La strada è così stretta che queste pacifiche bestie possono sbattersi le code con vicendevole amicizia: i rivoletti dei loro bisogni corrono giù per una parvenza di cunetta, mescolandosi, in fondo, con lo scolo oleoso di un frantoio per olive; e l’aria buona di montagna mette pace in ogni cosa.

Tutto, qui, è, o sembra, pace: gli animali e gli uomini si vogliono bene e vivono della stessa


— 179