Vai al contenuto

Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/245

Da Wikisource.

dalla finestra alla tavola, dalla tavola alla finestra, più volte, facendole afferrare e rimettere e poi riprendere l’arma.

La rimise ancora: infine, poichè l’uomo non se ne andava, aprì con dispetto le imposte, fingendo di non riconoscerlo. Egli sollevò il viso, col mento bianco di luna e il resto come mascherato da una bautta: non parlò; ma ella vide quel mento, con la fossetta profonda, tremare visibilmente, e si placò di nuovo, quasi beffarda. La sua voce vibrò nel silenzio, sforzata, come quella di uno che vuole spaventare un monello disturbatore.

— Beh, che vuole?

Egli fa due passi in avanti, si toglie il cappello, e adesso anche i suoi occhiali e i suoi capelli neri luccicano alla luna, mentre le mani si nascondono quasi impaurite.

— Signorina, — dice sottovoce, come ripassando una lezione, — bisogna che lei venga, a casa mia. Il dottore è fuori, per un consulto urgente, e la cosa è venuta d’improvviso, prima del tempo.

Ella capisce benissimo di che si tratta: e vorrebbe ridere, gridare: — E a me che importa? Vada via; — ma egli prende coraggio, alza la voce, non ha paura di farsi sentire. — Bisogna che venga. Subito. C’è pericolo.

Le sembrò il grido di uno che, in pericolo di vita, domanda aiuto: e chi lo sente non può, senza tradire le divine e umane leggi, negarglielo. Lei, inoltre, era obbligata, per il contratto col Comune, ad assistere chi richiedeva la sua opera. Una cosa era vendicarsi, un’altra


— 235