Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/28

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lisciato intorno, e con la croce nel centro.

— È pazza, o è sonnambula? — egli si domandava: e ne provava, in tutti i casi, un dolore indefinibile, ma più profondo di quanti ne aveva sentiti; quello della fine irrimediabile del suo sogno.

Tuttavia attese ch’ella finisse la sua infantile faccenda: accovacciata presso il pane, ella però non pareva disposta a muoversi: solo, col dito, segnava e cancellava alcune lettere sulla sabbia. Ed egli credeva di leggervi il suo nome.

— È pazza? È sonnambula? — continuava a domandarsi. Nel primo caso avrebbe voluto afferrarla, ricondurla dal padre e dirgli: «Vecchio boia, ecco il pane che adesso fa tua figlia: mastica tu, adesso, se puoi»; se ella era invece malata di sonnambulismo bisognava non svegliarla, poichè poteva morirne.

Che fare? Il tempo passa, già un velo d’umidore sale dal mare, e non è prudente, nè per lei nè per lui, trattenersi oltre in quel luogo solitario dove può anche trafficare qualche malvivente.

Infine egli si decise: imitando il modo furtivo e trasognato col quale ella era venuta, si avanzò fino a lei: non osava parlare, ma ricordava che i sonnambuli, se si svegliano spontaneamente, non soffrono danno.

E attese, un momento, che fu uno dei più ansiosi per il suo trepido cuore d’uomo semplice: ed ella si svegliò: i suoi occhi, nel suo viso di medusa, erano quelli di un tempo: ed anche la sua voce, quando disse, con una certa canzonatura: — Ti avevo veduto, sai.

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