Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/291

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sottile e un po’ curva, col viso che sembra una miniatura di avorio e gli occhi frangiati d’ombra: l’uomo pare il suo servo, alto e squadrato, con un viso barbuto di guerriero fenicio. Posa la grossa mano pelosa sulla spalla della fanciulla e sembra spingerla per aiutarla a camminare. Giulietta, la nostra finta malata apre la bocca per la meraviglia.

— Sono i nostri ospiti, padre e figlia, — dice, — sono parenti della nostra serva.

Così, per suo mezzo, più tardi si seppe che quei due erano venuti di lontano per consultare la brava Marghitta la quale aveva consigliato all’uomo, povero pastore di porci, che viveva tutto l’anno in un bosco di lecci in cima alla montagna, di condurre con sè la figlia già toccata ai polmoni, e farla vivere lassù. Per maggior scrupolo aveva versato in un bicchiere di acqua alcune gocce di un liquido magico, che, salite a galla, confermavano la sua ricetta.

Lassù, lassù, nella capanna del porcaro fra gli elci sempre verdi; lassù, anche nei tempi di vento, di freddo, di neve. Nessuno, neppure il padre, credeva efficace questa cura; eppure, in primavera, egli tentò. E la fanciulla rifiorì, come i ciclamini del bosco riprese colore; come le ghiandaie in cima agli elci, ritornò allegra e vivace. Così, anni ed anni prima che la scienza indicasse la cura della montagna per i tisici, la vecchia Marghitta aveva fatto il miracolo.


Se ne raccontano altri; di paralitici che, al suo comando, dopo pazienti fregagioni di balsami composti da lei, muovevano almeno le


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