Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/296

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letti sul cielo roseo del crepuscolo: una dolce luna d’alabastro vi si affacciava sopra, fra due ali di vapori orlati d’argento: e pareva l’angelo paffuto della sera di settembre.

Chiusi a malincuore lo sportello e saltai giù. La donna si era seduta sul suo giaciglio e stringeva la ragazza fra le sue ginocchia, mormorando versi in un gergo incomprensibile: erano i verbos, le antiche parole magiche, che mandavano via gli spiriti maligni: poi con una fettuccia unta la misurò dall’alto in basso, dalla punta di una mano all’altra, con le braccia ben distese: le misure non tornavano; mancava qualche centimetro alla lunghezza delle estremità: la ragazza era stregata. Io stavo bene attenta che la donna non le facesse ingoiare qualche intruglio, poichè la responsabilità era mia; Marghitta non ci pensava neppure; anzi mi accorsi che mi guardava in modo quasi malizioso quando, piegato il viso alla paziente, le fece tre segni di croce, domandandole con voce bassa e insistente:

— Sei stata in compagnia di qualche ragazzo? Rispondi: rispondi: tanto Dio sa tutto. Rispondi: ti ha baciato?

E fu una delle mie prime emozioni artistiche, quando sentii l’innocente vittima delle streghe rispondere che, sì, il figlio dell’ortolano, quel giorno del temporale, mentre si erano rifugiati in un ripostiglio, l’aveva baciata.

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