Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/42

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che animavano i campi, i cortili, i tetti della sua pittoresca dimora, quando ancora bambino, solo per il gusto atavico e certo barbarico di adoperare un pugnale forse un giorno appartenuto a un guerriero tartaro, uccise crudelmente una povera gracchia già ferita e impotente a difendersi.

Si riscatta, il poeta, ricordando in seguito le belle irrequiete cornacchie e tingendole di un colore vivido, iridato come quello delle loro piume quando riflettono la luce della primavera. E dovunque, nel paesaggio, nei giardini, nella stessa casa dove il giovinetto irradia la pienezza della sua vita meravigliosa, un volo, un convegno, un canto di gracchie, un loro passaggio, mettono sfumature e toni di gentilezza pensierosa, che trascendono dai soliti particolari paesistici.

Ecco, mentre va a caccia col padre, vede fra chine nude e solitarie di un burrone alcune gracchie radunatesi «qua e là quasi prive di asilo allo scoperto, pensierose». Sedevano, egli dice; e realmente, quando la cornacchia riposa, si piega sulle zampe e pare seduta. «Mio padre le guardò, e disse che anche le gracchie cominciavano, come si suole nell’autunno, a radunarsi in consiglio, a pensare alla loro partenza».

Più in là, al loro ritorno dai paesi del sud, esse rianimano i luoghi cari al poeta. «Monotone, solenni e trionfanti, senza turbare il mite silenzio del giardino, gridavano le gracchie, lontano, nelle bassure delle vecchie betulle». «L’incessante, discorde grido delle gracchie, che, con impetuosa e dolorosamente felice eb-

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