Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/43

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brezza, strillavano e si davano da fare in tutti i giardini circostanti...».

Poi ricade l’autunno, e anch’esse s’immelanconiscono di nuovo, con una sensibilità nostalgica, difficile a ritrovarsi in altri uccelli migratori. «Sui frontoni riscaldati dal sole delle scalinate se ne stavano piacevolmente strette, come monachelle, le gracchie di solito chiacchierine, ma ora molto quiete».


Per sette anni una giovane cornacchia nera ha abitato la nostra casa. Era un maschio, ma per lungo tempo l’abbiamo creduta, o preferito di crederla, una femmina, per la sua incomparabile bellezza, per il modo di muoversi, dirò quasi elegante, per la morbidezza delle piume, ed anche, dopo un certo periodo di addomesticamento, per la sua fiera bontà. Per una debolezza superstiziosa, o meglio per innocente astuzia, suggerita dall’amore pietoso che sentivamo per lei, a proteggerla contro la probabile avversione delle persone di servizio ed anche di qualche membro della famiglia, si era escogitato il rimedio di far credere che essa rappresentasse quasi un uccello sacro, un essere che spandeva intorno a sè un fluido benefico, una specie, insomma, di amuleto animato, un simbolo apportatore di fortuna. Ma non ce n’era di bisogno: poichè in casa tutti, e specialmente le donne di servizio, le vollero bene. Tutti, nel quartiere, la conoscevano: grappoli di ragazzi stavano di continuo arrampicati alla cancellata del giardino, per vederla e chiamarla. Dal pergolato o dalla terrazza, o anche se stava dietro la casa, essa ri-


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