Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/70

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mitiche: conosceva gli alberi, le erbe, le fiere, gli uccelli, i cani, e ne sentiva le voci, le passioni, i dolori e le gioie. Tutto si animava, per lui, anche l’acque ferme e le pietre sepolte dalla vegetazione palustre: e il sole, la luna, gli astri, tutti gli elementi, gli rivelavano meglio che a un poeta, la loro natura divina.

Ma non amava, quasi non capiva, l’uomo. Gli si era mostrato sempre sotto un aspetto bestiale: padroni, servi, ladri di caccia, tutti lo avevano deluso e spaurito. Almeno con gli animali si sa come combattere: o almeno lui lo sapeva; e non lo stupivano le arti della volpe, e neppure la crudeltà necessaria del lupo: ma l’uomo, l’essere più vicino a Dio, egli non sapeva da qual parte prenderlo: persino i suoi figli lo avevano depredato, abbandonato e tradito: e adesso anche la nipotina, che egli aveva allevato, orfana ed ultima, come una cerbiatta alla quale è stata uccisa la madre...

Anche lei, adesso, trovava tutti i mezzi per incontrarsi col signorino, pur sapendo che egli la cercava solo per istinto di maschio. — Signore, buon Dio, — pregava il vecchio, piegato fra i giunchi, giunco pure lui in mezzo all’acquitrino della sua mala passione; — ci sarebbe, sì, il mezzo di salvarsi: andarsene, portarla via, lontano: ma dove si va, alla mia età? E mandarla via sola è ancora peggio. Possiamo forse correre alla ventura, come il cieco e la ragazza col piattino? Del resto la colpa è sua, di lui, del brigante vestito da cavaliere: egli sa bene quello che fa e che vuole, e ci considera nè più nè meno come questi palmipedi in tempo

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