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246 | il flauto nel bosco |
delle notti insulari; e il canto dell’usignuolo fosse il suo stesso canto.
E speravo di essere sepolta alla sua ombra; ma il pensiero della morte non offuscava quello della vita, poichè intanto quell’ombra era buona a leggervi di nascosto le prime letterine d’amore.
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Gli anni però passavano e l’albero dei sogni rimaneva sterile. Le cose piccole erano come le cose eterne: non mutavano mai; e questo dava un senso di morte.
Solo il cipresso cresceva con uno slancio robusto che pareva dovesse innalzarlo fino alle stelle.
La sua ombra attraversava, nel pomeriggio, tutto l’orto del nostro vicino, e nuoceva ai suoi cavoli fiori che avevano davvero un colore cadaverico. Un’ombra funebre, del resto, pareva stendersi su tutto e su tutti: anche sul vicino di casa, sempre più allampanato e come spaurito della sua solitudine, e sulla sua casa umidiccia e silenziosa; e anche da questa parte del nostro orto che mi pareva s’impicciolisse e inselvatichisse, e sulla casa che invecchiava e su di me che vedevo sparire invano gli anni più belli della fanciullezza.