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Il cipresso | 247 |
Lo stesso passare del nostro vicino rasente la mia finestra, quel passare e ripassare lento, alle stesse ore, sempre eguale come quello della lancetta sulle cifre dell’orologio, mi dava un senso di morte: e l’anima si assonnava, si ripiegava su sè stessa, pigra e rassegnata e forse anche felice del suo assopimento come il gatto attortigliato su sè stesso sopra la pietra calda del camino.
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Un solo avvenimento straordinario accadde l’ultimo inverno che passai a casa mia. Una mia cugina si sposò, ed a me e a un’altra cugina toccò di accompagnarla come damigelle di onore.
Nel corteo lampeggiante di colori, di velluti e broccati, c’era anche il nostro vicino di casa: vestito di nero, alto al di sopra di tutti, mi ricordava il cipresso sopra l’orto fiorito.
Eppure fu uno dei più allegri della compagnia: suonava la chitarra e cantava, ma pareva lo facesse solo per destare il riso nelle ragazze che ascoltavano le sue canzonette d’amore.
A tavola me lo trovai vicino; e mi sarebbe rimasto come sempre indifferente se egli, senza mai volgersi a guardarmi, non