Pagina:Deledda - Il nonno, 1908.djvu/107

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l'apparizione 105


Ogni minuto gli sembrava un’ora. Fuori, nello spiazzo, la gente gridava e ballava: s’udivano grida e canti e il suono triste di una fisarmonica. All’ultimo splendore del crepuscolo si fuse il chiarore dei fuochi: nubi di fumo rossastro, scintille, foglie ardenti, lembi rossi di nastri e di fazzoletti, che sembravano fiammelle, arrivavano fino al cortile: e l’inquietudine del cane pareva causata da quell’insolito spettacolo.

Oja riapri la porta della cucina, ma non uscì fuori. Juanne non si mosse.

Finalmente ella uscì e sedette sullo scalino della porta. Trasse il rosario e cominciò a pregare: sulle prime bisbigliava, come parlando sottovoce a un essere invisibile, poi si esaltò, s’inginocchiò per terra e pregò a voce alta, battendosi il petto e gemendo. Pareva molto infelice: e Juanne sentiva una vera pietà di lei, un desiderio ardente di confortarla.

S’inginocchiò anche lui, poi balzò in piedi. Il cane riprese a urlare.

Un chiarore fantastico illuminava il cortile: le foglioline arse del lentischio volavano intorno al melagrano grigiastro come farfalline d’oro.

Si sentivano più acute le grida di ebbrezza selvaggia dei giovanotti che, per dimostrare la loro agilità alle fanciulle accorse a guardarli, saltavano attraverso i fuochi crepitanti. Juanne balzò vicino ad Oja; e gli parve di saltare attraverso un fuoco. Oja guardava, con gli occhi spalancati. Al chiarore dei fuochi, quel giovane vestito di velluto e di pelli,