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160 | grazia deledda |
vocando, in quella volgare cameruccia d’albergo, tutta la nostalgica poesia della loro terra lontana.
— Ora mi ricordo, — disse il vecchio; — sì, una volta ho sentito parlare di lei, don Elia. Ma, dico la verità, si racontavano storielle curiose. Non si offenderà se dico questo?
— Oh no! Ero una buona lana davvero! — gridò Elia. — Ma ora son diventato bravo. Non è vero, Pasqua? Non ero cattivo neanche allora! Era il mio tutore che mi faceva disperare. Ero semplice, ingenuo: tutti mi derubavano. Commettevo mille sciocchezze per far dispetto al mio tutore. Ora però son diventato serio… Eppoi lo zio vescovo mi ha concesso la nipote a certe condizioni! Se farò ancora qualche sciocchezza egli… mi riprenderà la sposa!
Egli rideva, dicendo così: ma Pasqua aggiunse:
— Eh, mio zio è un uomo energico. Egli farà di peggio… se tu non terrai le tue promesse!
— Che peggior cosa può esserci di quella di togliere una bella sposa al proprio sposo? — domandò galantemente il vecchio, mentre bevava l’un dopo l’altro i bicchierini di liquore che Pasqua gli versava; poi aggiunse: — del resto, basta evitare le cattive compagnie. Sono questo che rovinano l’uomo. Tante volte pare sia il diavolo stesso a incarnarsi in un cattivo compagno: egli non ha pace finchè non vi ha rovinato. Io mi chiamo Andria Decherchi: son vecchio, sono sdentato, ma posso assicurarvi che non mi sono fatto mai im-